Saltellando sui tetti: faccia a faccia con la prima ballerina Kaidi Wu
Le ballerine Diana Teng e Kaidi Wu si sono conosciute a New York dieci anni fa. Hanno girato il mondo in tour insieme, danzato insieme e passato insieme ore e ore in pullman, in aereo e in hotel, per mesi. Ma qui, per la prima volta, Diana si siede e scopre un po’ di più sulla vita della sua amica Kaidi, a lei più nota in qualità di interprete della Dea della Luna piuttosto che di ragazzina che saltellavano sui tetti in un paesino di campagna cinese.
L’infanzia
DT: Parliamo dell’inizio: sei nata in Cina, giusto? Quando hai lasciato il tuo Paese?
KW: Sì, sono nata nella provincia di Hebei e mi sono trasferita in Canada, a Toronto, quando avevo dieci anni. È stato cinque giorni prima del mio compleanno e lo ricordo come il compleanno più strano della mia vita: non mi sentivo affatto vicina ai miei genitori (da cui ero separata da anni), loro cantavano “buon compleanno” e io sedevo da sola di fronte alla torta priva della benché minima emozione.
DT: In che modo il tuo compleanno fu diverso rispetto a quelli festeggiati in Cina?
KW: Bè... Di solito festeggiavo con diverse persone, fra cui i miei cugini (tre bambine e un bambino), mia zia e mio zio e i miei nonni, per cui era davvero una festa! In Canada c’ero solo io. E i miei genitori, che si sentivano degli estranei.
DT: Come mai?
KW: I miei genitori avevano dovuto lasciarmi quando ero molto piccola, perché erano entrambi perseguitati dal Partito Comunista Cinese: erano praticanti della Falun Dafa, una disciplina spirituale che dà massima importanza ai principi morali di verità, compassione e tolleranza. Allo scoppio della persecuzione nel 1999, vedevano le persone intorno a loro venire arrestate in casa propria o sparire dei campi di lavoro. Alcuni dei loro conoscenti erano persino stati torturati fino alla morte perché rifiutavano di rinnegare la propria fede.
Quindi i miei genitori avevano deciso di rifugiarsi in Canada, in cerca della libertà religiosa e di una vita migliore; ma non avevano voluto che anche io subissi le difficoltà iniziali del cominciare una vita nuova in una nazione tanto diversa, per cui avevano deciso di partire da soli per stabilizzare prima la situazione. Io mi ero perciò trasferita a casa di parenti che abitavano in campagna e sono stati poi loro a crescermi per tutta l’infanzia. Ero molto piccola quando tutto questo succedeva e mi ricordo pochissimo.
DT: Mi dispiace. Per fortuna che ora vi siete riuniti. Eri molto in confidenza con i tuoi parenti al tempo?
KW: Sì sì, specialmente con i miei cugini, che avevano pressappoco la mia età. Abbiamo condiviso gran parte dei ricordi dell’infanzia, insieme anche agli zii e ai nonni. In campagna vivevamo in case tutte attaccate le une alle altre e io e i miei cugini spesso andavamo gli uni a casa degli altri arrampicandoci sui tetti.
DT: Arrampicate sui tetti! Sembrano le avventure di Peter Pan. Era solo una cosa da bambini o si trattava in effetti di un “inizio”?
KW: A dire il vero era un’entrata-uscita: in quelle case c’era una scala che portava al tetto, per cui si poteva salire in cima e camminare su di una passerella fissata fra i tetti. Era facile arrivarci e sgattaiolare nelle stanze dei miei cugini. A parte quello, usavamo il tetto per fa essiccare le pannocchie in autunno.
DT: Doveva essere davvero divertente. Com’era la tua vita allora? Era stato traumatico per te il trasferimento in quel nuovo ambiente?
KW: Bè, ero così piccola quando mi sono trasferita dai miei zii che la vita di campagna è stata l’unica che conoscessi fino al trasferimento in Canada. In Cina stavamo a scuola dalle 7,30 di mattina alle 7,30 di sera. Spesso l’elettricità mancava e accendevamo le candele. Mi ricordo di una volta che mentre facevamo i compiti la persona dietro di me urtò per sbaglio la sua candela, facendola cadere e facendo prendere fuoco al mio cappuccio e ai capelli... Ma niente paura: si trattò solo di qualche ciocca e dopo non rimasi mezza calva.
DT: Sembra una scena da film! Va bene, ora raccontami pure della vita di campagna. Immagino che la tua famiglia allevasse anche animali.
KW (sorride imbarazzata): Avevamo una grande gabbai piena di conigli (non so perché), cani, gatti e un porcile con un solo maiale dentro.
DT: Che bello! Tu davi una mano con gli animali?
KW: No, da quello che mi ricordo. Mi ricordo che avevo paura del cane: penso di avergli visto uccidere un gatto, perciò ho sviluppato questa fobia per i cani che ho tutt’ora. Ma i conigli erano adorabili, anche quando la loro gabbia era davvero uno schifo! Comunque, sì: cani a parte, gli animali mi sono abbastanza simpatici.
DT: So anche dai tuoi amici che non ti fanno impressione gli insetti.
KW: Ah! Non pensavo che lo sapessero in molti! Sì, mio nonno era dottore in medicina cinese e usava determinati insetti a scopo terapeutico. Mi portava spesso con sé fuori a raccogliere insetti e mi insegnava quali erano quelli importanti per il suo lavoro. Per me era diventato un gioco e andavo spesso anche con i miei cugini a raccogliere insetti. È per questo che non ho paura degli insetti e che spesso i miei amici di Shen Yun qui cercano me per liberarsi degli insetti.
DT: Quindi, se qui sul tavolo ci fosse una mantide religiosa la faresti senz’altro uscire, giusto?
KW: Una volta effettivamente ne ho presa una. Ma sono alquanto incontrollabili. Quella mi fece un taglietto. Sì sembra brutale, ma mettevamo dei fili attorno alle libellule e le facevamo volare attorno a noi. Poi la notte le liberavamo nelle zone infestate dalle zanzare, che sono la loro preda naturale. Era una situazione “win-win”. Ma non mi metto mai a uccidere insetti!
DT: Io non sarei mai capace di fare niente del genere e nemmeno ne avrei il coraggio, anche se nei sobborghi americani ci facevamo rotolare a vicenda nei bidoni dei rifiuti riciclabili. Ma lasciamo perdere... Quali altre follie facevate?
KW: Va bene, probabilmente questo è sporco come sembra... Il sistema fognario era pessimo, per cui quando pioveva forte si allagava tutto: l’acqua ci arrivava alle ginocchia, e sai quanto piace ai bambini quell’acqua lurida e schifosa? Io e i miei cugini correvamo subito fuori per saltarci e sguazzarci in mezzo. Era puro divertimento.
DT: Nella Cina rurale non c’erano nemmeno dei veri impianti idraulici, giusto?
KW: Eh sì! Dovevamo uscire e camminare fino alla latrina esterna, che era letteralmente un buco nel terreno, ed era collegato alla porcilaia, per cui credo che il maiale ricevesse un bel po’ di “cibo”. Puoi immaginarti quanto puzzasse. E, come sanno tutti i contadini cinesi, cadere là dentro può significare la morte (fa una smorfia).
DT: In quella vita spensierata e piena di così tante cose, come è stato che hai iniziato a danzare?
KW: Avevo otto anni quando successe. Una volta, mentre mi facevo la doccia, scivolai quasi cadendo nella vasca; mia zia mi sgridò dicendo: “Certo che hai proprio un bell’equilibrio! Dovresti fare la ballerina, così saresti aggraziata e ben equilibrata”. Io pensai: “Va bene, andrò a danza”. Credo che sia stato quell’incidente a portarmi su questa strada. La prima volta che ho messo piede sul pavimento da ballo ho saputo che sarebbe stata quella la mia carriera. Ma due anni dopo i miei genitori mi reclamarono e io partii per il Canada.
DT: Come hai preso il trasferimento in un altro Paese e il cambiamento della tua vita?
KW: Io non volevo andare all’estero, ma i miei nonni pensavano che avrei potuto frequentare una buona università (cioè Harvard) e quindi mi incoraggiarono a iniziare una nuova vita. Essendo una bambina, non avevo molta voce in capitolo in questa decisione, ma credo che sia stata una cosa buona perché altrimenti non avrei potuto essere qui in Shen Yun.
Gli inizi a Shen Yun
DT: In che modo questo trasferimento ti ha portato in Shen Yun?
KW: In occasione di un capodanno, i miei genitori mi portarono a New York per vedere lo spettacolo delle Meraviglie delle Vacanze di New Tang Dynasty Television e, quando vidi le ragazze danzare in quei bellissimi costumi orientali, capii subito che anche io volevo farlo. Alcuni anni dopo un’amica di mia madre mi suggerì di provare a entrare in Shen Yun; all’inizio temevo di non essere presa, perché era un po’ che non danzavo e le mie gambe si erano irrigidite. Ma poi, il 21 ottobre 2008, ero stata ufficialmente selezionata ed ero partita per New York.
DT: Accidenti! Quindi sono dieci anni che sei nella compagnia. Avrai certamente fatto progressi e cambiamenti nel corso di un decennio! Cosa ricordi dei tuoi primi anni da novellina?
KW: Nel corso dei primi mesi, i miei insegnanti e i compagni di corso mi soprannominarono il “fagiolo (messicano) saltellante”: le mie capacità di salto erano straordinarie ma quelle di atterraggio erano pessime, per cui sembravo un fagiolo che saltava impazzito qua e là.
E perdevo anche il controllo molto facilmente: mi ricordo di una volta che ci stavamo esercitando sul cambio di costume rapido; entrai nei camerini talmente in confusione da non riuscire a togliermi di dosso cintura, cappello, costume e bastoncini. Alla fine, arrivarono in tre ad aiutarmi, mentre saltavo freneticamente su e giù dicendo “non c’è tempo, non c’è tempo!” e uscii per ultima dai camerini. Ero anche poco fiduciosa nelle mie capacità tecniche nel fan shen, così insicura che non riuscivo a mantenere la direzione; insomma, gli inizi sono stati davvero qualcosa di inguardabile.
DT: Tutto questo non sembra appartenere alla Kaidi Wu che conosco io! Adesso tu hai gli assoli e sei spesso in prima linea a guidarci. Come ti sei trasformata in quello che sei oggi?
KW: Ho capito che mi mancava il credere in me stessa. Lavorando molto duramente, ho visto che l’esercitarsi nei movimenti e nella tecnica fino a conoscerli bene, poi porta a raggiungere la sicurezza di sé stessi. Anche l’esperienza mi ha aiutato: più mi capitavano certe cose, più sapevo come affrontarle; con uno stato mentale calmo e stabile sei sempre in grado di trovare la soluzione giusta.
DT: Giusto. Essere passivi di fronte ai nostri problemi non è certo la soluzione. In quali situazioni hai dovuto mettere in gioco la tua consapevolezza morale?
KW: Mi ricordo di una volta in cui mi era stato assegnato il ruolo della nonna per una piccola rappresentazione in danza sul monaco Ji Gong: il ruolo non mi piaceva assolutamente e mi sono talmente arrabbiata che ho perso la pazienza e mi sono messa a gridare. Quello rivelò parte delle mie abitudini fondate sull’egoismo; nel corso del tempo, poi, ho imparato l’importanza dell’abbandonare il proprio ego, perché sul palco siamo tutti uguali, al di là dei ruoli e delle posizioni che possiamo ricoprire.
Come una volta mi ha detto la mia collega ballerina Yuxuan Liu, “Il tipo di impegno che metti nello spettacolo si ripercuote direttamente il risultato dell’intera compagnia, non quello di Kaidi Wu in quanto individuo”. In fondo stiamo dando al pubblico una rappresentazione unitaria. E poi naturalmente gli artisti veterani, come Miranda Zhou-Galati e Rachael Bastick, mi hanno molto consigliato e aiutato. Devo a loro il mio successo. Ogni momento che passiamo insieme è come se fossimo sorelle.
Una delle prime interpretazioni riuscite è stata quella della moglie di Lin Chong, che è stato un ruolo impegnativo sul piano emozionale, perché lei si suicida dopo essere stata aggredita da un uomo. Ai coreografi all’inizio non piaceva la mia interpretazione. Solo più avanti arrivai a capire le emozioni della donna più in profondità, piuttosto che inserirmi semplicemente nella coreografia. È stato anche il primo ruolo in cui ho dovuto collaborare molto da vicino con un altro ballerino. Si è trattato di un processo di maturazione. La cosa più importante era che avevo bisogno di crescere come persona, di preoccuparmi meno di me stessa e di sentire gli altri.
DT: E ora sei un’artista di esperienza, che ha al suo attivo numerose stagioni in tour. Qual è la cosa più difficile nell’ambito della tua carriera?
KW: Credo la routine quotidiana, la programmazione. A volte diventa tutto ripetitivo, specie quando ci sono nuove date di spettacoli da acquisire. Ma quando penso alla missione della nostra compagnia, riportare in vita la cultura tradizionale cinese, e a quanto grande essa sia, i miei problemi appaiono molto più piccoli. Anche il pubblico mi dà motivazione: ogni volta che vivo l’esperienza dei sorrisi sinceri e dei lunghi applausi del pubblico, so che ne vale la pena.
Un’altra sfida con cui ci confrontiamo è quella di restare snelli: come ballerini abbiamo il dovere di restare in forma e questo diventa un po’ difficile quando siamo in tour e le date sono tutte molto ravvicinate, il che comporta meno tempo per allenamento; per non parlare del fatto che c’è roba da mangiare davvero molto buona.
DT (ride): Sì lo sappiamo bene tutti... Che cosa fai per restare magra e in forma?
KW: Bè, dò molti calci. In Shen Yun abbiamo l’impostazione di base di esercitarci in 300 calci (anteriori, posteriori e laterali) ogni giorno. Per me è diventata ormai un’abitudine esercitarmi nei calci almeno due volte al giorno (quindi farne 600 o più). Calciare prima dello spettacolo, è un ottimo modo per riscaldarsi e la trovo una cosa che mi mette a mio agio. Una volta mi sentivo così goffa che ho calciato 1500 volte, per un totale di 45 intensi minuti... Non credo che lo rifarò di nuovo (ride). Ho già detto che faccio tutto questo con addosso una tuta dimagrante?
A parte questi intensi allenamenti, è anche importante mangiare meno. Evito gli amidi e mango più carne e verdure, faccio merenda con le noci (le adoro) quando mi serve un supplemento energetico e bevo acqua gassata invece delle bibite. Ho già detto che mi piacciono le noci? Ne vado così matta che gli amici per un po’ mi hanno chiamato “scoiattolo”.
DT (ride): Non preoccuparti, tutti abbiamo le nostre strane fissazioni: la mia è per le patatine. Hai degli oggetti di scena con cui ami particolarmente danzare?
KW: Mi piace danzare con una sciarpa. Ho usato due sciarpe in occasione dei miei concorsi di danza. Sono leggere, fluttuano in movimento e quando ci ballo mi sento aggraziata... E sono anche un tipo abbastanza “femminile”, che potrebbe essere la ragione per cui mi piacciono.
DT: E va bene: facciamo un po’ di chiacchiere da donne. Qual è la cosa che compri in eccesso? Perché lo sai, tendiamo tutte a comprare troppo gli oggetti che adoriamo.
KW (ride): Bè, ho tante paia di scarpe da ginnastica, credo almeno sette: ogni volta che ne vedo un paio color pastello della mia marca preferita, vado in agitazione e la maggior parte delle volte va a finire che le prendo. Ho anche molti capi di vestiario tecnici per l’allenamento, felpe a zip e pantaloni neri.
DT: Qual è il tuo stile? Intendo quando non sei vestita per danzare.
KW: Assolutamente giovanile e femminile: mi piacciono le gonne ampie e fluide e i vestiti con motivi floreali; ho anche molte sciarpe di colori tenui, tutte quasi di stile identico. Sono anche attratta dalle cose carine: ho molte felpe e accessori di Snoopy.
DT: E che mi dici del tuo tempo libero? Cosa fai per riposarti e rilassarti?
KW: Ho quasi sempre accesa della musica classica in camera: dà all’ambiente un’aria piacevole. E mi piace starmene tranquilla, chiacchierare con gli amici... Le solite cose, no?
DT: Sì: ti circondi di persone che ti vogliono bene. Per chiudere questa intervista, ci sono delle parole di ispirazione che vorresti condividere? Magari qualcosa che spesso usi tu stessa per ricordarti di non mollare mai.
KW: Bè, quando mi capita di entrare in conflitto con gli altri di solito dico a me stessa: “Va bene, comprendi gli altri e cerca di vedere le cose dal loro punto di vista, perché tutti abbiamo le nostre difficoltà”. E quando mi sento frustrata, mi ricordo alcune parole che i miei insegnanti e compagni di classe spesso mi dicono: “Fallo e basta. Visto che questo è il tuo lavoro, devi tenere duro e ottenere un buon risultato. Nessuno è perfetto e se fai del tuo meglio otterrai quello che devi ottenere. Il duro lavoro non è mai sprecato”.
Infine, spero di poter dire al mondo che le difficoltà ci sono sempre. Ma guardare alle cose con mente aperta può cambiare in meglio l’ambiente in cui ci troviamo.